Contro il Lavoro
“Il lavoro ha oggi carattere servile: non si elegge liberamente secondo le proprie attitudini; non assicura soddisfazione di alcuna specie, né materiale, né morale; non riserva che rischi, privazioni, umiliazioni. Incerto, penoso, eccessivo, rimunerato in ragione inversa della sua durata, si cerca di malavoglia, si compie con disgusto, si subisce, insomma come un’espiazione, come una maledizione.”
Cit. Luigi Galleani (1907)
Parlare di lavoro significa parlare di sfruttamento, oggi ancora di più grazie al precariato. Lavorare è considerato un privilegio che va mantenuto a costo di essere sottopagati, non avere garanzie, sottostare a rigide ed insensate gerarchie, annullarsi in ridicole e ripetitive mansioni. Nei casi peggiori, quelli degli schiavi migranti senza documenti, il lavoro dà tutto: cibo, rifugio e in caso di incidenti una indegna sepoltura.
Anche noi purtroppo siamo invischiati in questo sistema, e a nostro malgrado ci facciamo sfruttare. Che cosa ci spinge a sopportare tutto questo? Che cosa ci dà questa nostra privilegiata condizione di lavoratori? Il denaro. Sembra indispensabile per vivere. Per comprare cibo, acqua, una casa o un’auto. Per curarsi, per avere una vita dignitosa e potersi permettere tutto ciò che ci rende umani, persone. Ma non lavoreremo mai abbastanza. Il lavoro salariato ha assunto un valore di per sé, come qualcosa che nobilita e realizza l’individuo. E’ diventato un fine e non solo più un mezzo, con cui pagarsi l’esistenza sostituendo la vita con la sopravvivenza. La carriera è merce più ambita di ciò che il salario permette di comprare e non lavoreremo mai abbastanza per poter smettere di farlo; per poter uscire dalla macchina infernale che ci costringe a svenderci, scambiando il proprio tempo di vita per un misero potere d’acquisto.
Di certo non tutti aspiriamo a questo genere di modelli ma tutti, come lavoratori, siamo uniti ed uguali nel far parte di una piramide di sfruttamento: chi ci dà lavoro gode di ricchezze per noi irraggiungibili mentre noi ci possiamo godere solo il nostro modesto benessere a rate. Che a nostra volta otteniamo a discapito di qualcun’altro, o dell’ambiente, o addirittura di noi stessi. Per esempio la fabbrica dove guadagniamo i soldi per vivere, avvelena l’acqua e l’aria che ci fanno morire.
Esiste una soluzione a tutti questi problemi? No. Non può esistere una soluzione unica ai problemi di tutti né tanto meno un uomo o una donna o un partito in grado di guidarci verso la tanto agognata felicità e tranquillità. Perciò diffidiamo dalle panacee e iniziamo a chiederci chi causa realmente questi problemi e come fare per risolverli. Non ci illudiamo che se ci fosse una ridistribuzione più equa delle ricchezze (più soldi alla sanità, all’istruzione, ai servizi, alle pensioni o ai lavoratori) le cose si metterebbero a posto, sarebbe solo una parentesi rosea. Il sistema capitalistico non è riformabile!
Finché dipenderemo esclusivamente dal lavoro e dal denaro non ci potremo liberare da gerarchie e disparità.
Rompiamo l’isolamento consumistico e guardiamoci intorno. Possiamo iniziare a collaborare e tramite il confronto, lo scambio di idee, di esperienze, di tecniche, iniziare a mettere in pratica una solidarietà vera.
Nelle case occupate anarchiche torinesi da 20 anni sperimentiamo una pratica di condivisione di saperi e piaceri, donati e ricevuti, di gesti fatti di cuore e senza la mediazione del denaro. Ma questa pratica, che chiamiamo Bellavita, è solo un esempio di come senza il denaro, con il metodo dell’azione diretta e la pratica dell’autogestione nella coerenza tra fini e mezzi, si può collaborare per rispondere collettivamente ed autonomamente dei nostri problemi e necessità.
Iniziare a costruire qui ed ora il futuro che vogliamo. Per poi continuare ad allargarci al resto dell’esistente e distruggere questo sistema che si regge solo sulla mercificazione di tutto.
Ma per farlo dobbiamo essere in grado di praticare la solidarietà tra sfruttati e di riconoscere il vero nemico: lo Stato, il capitale e la Chiesa che li benedice. Vogliamo riappropriarci della ricchezza, non del denaro e
tantomeno del lavoro salariato – che, in quanto obbligato, consideriamo una forma di schiavitù – ma dell’aria, dell’acqua, della terra e della libertà di muoverci in essa.
I soldi non si possono mangiare ma la libertà si può assaporare, prendendo in mano la nostra vita e lottando quotidianamente contro un unico obiettivo: l’abolizione di ogni forma di autoritarismo.
Fenix occupato – Barocchio squat – Mezcal squat e affini.